Il terribile sguardo del fringuello

Il paziente si agita sul lettino. «Mi aiuti, dottore.»

Tengo gli occhi fissi sul foglio bianco del blocchetto e fingo di prendere appunti. «E mi dica, signor Crastone, sa di che specie di uccello si tratta?»

«È un fringuello.»

«Me lo potrebbe descrivere?»

«Fronte nera, spalle e nuca azzurre, faccia e petto rosso ruggine.» Muove un indice come se stesse disegnando nell’aria sopra di sé. «Conosco bene i volatili, dottore, non ho alcun dubbio sul fatto che sia un fringuello.»

«Sì, è senz’altro un fringuello.» Disegno uno scarabocchio a forma d’uovo. «E quindi mi diceva che questo uccello la guarda.»

«Mi osserva di continuo, ovunque io vada. A volte è su un albero, altre volte su un lampione o sul tetto di una casa. Mi spiava dal palazzo di fronte quando sono entrato nel suo studio. Sa che sono qui.»

Oh cavolo, la situazione è più grave del previsto. «Non le fa mai ascoltare il suo canto melodioso?»

«No, dottore, nessun canto melodioso. Fa soltanto una specie di ci ci ci quando credo di averlo seminato e non mi accorgo della sua presenza. Non mi lascia in pace, vuole che io sappia che non mi perde mai di vista, mi sta rendendo la vita impossibile. Ho tanta paura, dottore, mi aiuti per favore.»

«Mi scusi, signor Crastone.» Sollevo il mento e mi tolgo gli occhiali. Ne sento di storie assurde, ma questa le batte tutte. «Come fa a sapere che si tratta sempre dello stesso fringuello?»

Volge il viso verso di me con uno scatto. «Mi sta prendendo per pazzo, vero?»

«Certo che no, siamo qui per parlare.» E invece sì, per me sei matto da legare. Mi mantengo calmo e sereno come sempre. «Le pongo solo qualche domanda per capire meglio come aiutarla.»

«È sempre lo stesso fringuello, dottore.» Emette un lungo sospiro e appoggia di nuovo la nuca sul cuscino. «Gli altri uccelli non mi perseguitano come fa lui.»

«Altri uccelli?» Mi massaggio il mento con due dita. «Anche gli altri uccelli le provocano una sensazione di paura?»

«No, dottore, giocavo con le galline quando ero piccolo e tutt’oggi lancio le molliche ai piccioni del parco. Ho un solo nemico, lui, il fringuello.»

Mi rimetto gli occhiali e prendo appunti reali. «Mi descriva il modo in cui la guarda.»

«Mi fissa, ha uno sguardo penetrante e minaccioso.» Il paziente trema sul lettino, ha la fronte luccicante di sudore. «Mi tormenta, dottore, non riesco a vivere così.»

Mi schiarisco la gola. «Perché ritiene che un uccellino così piccolo e carino possa rappresentare una minaccia per lei?»

«Non è per niente carino.» Alza di una tacca il volume della voce. «Quel mostro mi sta distruggendo.»

«Ma visto che si limita a guardarla, non potrebbe ignorarlo?»

«Non si limita a fissarmi col suo terribile sguardo.» Il paziente sembra respirare a fatica. «Fa anche altre cose, cose orribili.»

«Si calmi adesso, qui siamo al sicuro.» Accenno un sorriso. «Mi faccia qualche esempio.»

«La notte ticchetta con il becco alle finestre, tutta la notte, non mi fa dormire bene. All’inizio bussava sui vetri, ora lascio le tapparelle abbassate, anche di giorno. Tengo tutto chiuso per paura che possa entrare. E lui bussa sull’alluminio. Ho provato a dormire in salotto, in cucina e persino sul pavimento del bagno, ma mi ha scoperto. Non so come faccia, ma sa sempre dove mi trovo. Poi c’è la questione dei bisogni.»

Mi gratto una tempia con la penna. «Cosa intende per bisogni?»

«Le feci, dottore.» Il paziente sospira. «Quel mostro fa i suoi bisogni sul parabrezza della mia auto, sempre nello stesso punto, sul lato del guidatore, all’altezza dei miei occhi. Io pulisco e lui sporca di nuovo. Ha una precisione incredibile. Vuole innervosirmi, vuole portarmi alla rovina.»

«Non potrebbero essere escrementi di altri uccelli?»

«No, molto volte l’ho visto all’opera. Spesso mi spara le feci quando entro in auto, nel momento in cui sto per partire, così devo scendere per togliere la macchia. Se aziono i tergicristalli si sporca tutto il vetro e lui lo sa. Infatti mi osserva soddisfatto ogni volta che ripulisco. Una volta è riuscito a lanciarmi una pallina biancastra di escrementi mentre ero alla guida. Per poco non finivo fuori strada. Capisce, dottore? Vuole eliminarmi, vuole uccidermi.»

E sì, questo tizio è più matto di un cavallo balzano da quattro. Però è spassoso da morire. Devo raccogliere tutta la mia forza e la mia esperienza per trattenermi dal ridere. Faccio il lavoro più divertente del mondo, non mi pentirò mai di aver scelto di intraprendere la professione di psichiatra. «Da quanto tempo dura questa storia?»

«Sono già due mesi e mezzo.»

Annuisco. «Non ha mai provato a catturarlo?»

«Ho chiamato un amico cacciatore, mi ha detto che è una specie protetta. Ho provato a lanciargli dei sassi, perché non so maneggiare le armi da fuoco, ma il pennuto è furbo e anticipa ogni mia mossa. Io lo farei fuori volentieri, pagherei qualsiasi multa, me ne andrei perfino in galera pur di liberarmi di quel mostro, ma non riesco a prenderlo. Sono andato anche alla polizia per chiedere aiuto e non mi hanno creduto, nessuno mi crede. E mi hanno mandato qui da lei. Non sono pazzo, dottore, glielo assicuro.»

Certo, nessuno è matto nei manicomi, come nessuno è colpevole nelle carceri. «Perché questo uccello ce l’ha con lei? Si è dato una spiegazione?»

«Conosco benissimo il perché.» Solleva la schiena dal lettino, ruota il busto verso di me e si appoggia su un gomito. «È colpa del proverbio.»

«Proverbio?» Mi gratto una guancia. «Quale proverbio?»

«Meglio fringuello in man che tordo in frasca.» Riduce la voce a un sussurro, come se non volesse farsi udire da terze persone. «Stavo discutendo con un amico al parco, quando è saltato fuori questo antico proverbio. In pratica significa che vale più una cosa piccola, ma posseduta, che una grande, o migliore, che si spera di avere.» La fronte lucida del paziente si trasforma in una cascata di gocce trasparenti. «Io però non sono d’accordo e ho detto che secondo me è meglio lottare per un sogno piuttosto che accontentarsi. Chi non prova a realizzare i propri desideri finisce per vivere una vita di delusioni e rimpianti.»

«E perché l’uccellino ce l’ha con lei?»

«Ho detto che il tordo in frasca è migliore del fringuello, e il fringuello mi ha sentito perché era su un ramo lì vicino. Mi ha guardato male e non ha più smesso di tormentarmi. Si è arrabbiato, capisce? E sono certo che non mi lascerà in pace finché non mi vedrà morto sotto terra.»

Inspiro a fondo. Un fringuello che si offende? Che cavolo di assurdità è mai questa? Vorrei sbattermi la testa contro il muro e scoppiare a ridere allo stesso tempo. Espiro piano. Mi tolgo di nuovo gli occhiali e scruto il paziente che è ancora puntellato sul gomito. «Non credo che un uccello possa capire cose del genere.»

«E invece sì.» La voce riacquista un volume normale. «Il fringuello ha capito benissimo e ora è assetato di vendetta.»

Un tintinnio giunge dalla finestra e un’ombra scura attraversa il vetro.

Il paziente scatta in piedi. «Era lui!»

Resto impassibile sulla poltrona. «Le ho detto che qui siamo al sicuro.»

«Se vedesse il terribile sguardo di quell’uccello, cambierebbe di certo opinione.»

«Si rimetta comodo, signor Crastone, mancano ancora cinque minuti.»

«Non c’è più tempo, devo andare.» Estrae un sasso dalla tasca e si avvia circospetto verso l’uscita. «Mi chiami se trova una soluzione.»

«Certo, studierò al meglio il suo caso.» L’unica soluzione sarebbe la lobotomia. «Allora ci vediamo venerdì?»

«Forse, dottore, forse.» Apre la porta e sgattaiola fuori dallo studio.

Meno male che ha pagato in anticipo. Questo è l’importante. Un matto va e un matto viene. Cosa si può chiedere di più dalla vita? Non tutti hanno la mia fortuna di guadagnare e divertirsi allo stesso tempo.

Per oggi ho finito. Mi preparo ed esco anch’io. Le sere di fine giugno invogliano sempre a fare una passeggiata. Sfrutterò le ultime ore di luce per passare dal parco e poi andrò a casa a cucinarmi una gustosa cenetta.

Attraverso la strada e mi inoltro nel vialetto alberato. Respiro l’aria ombrosa. Gli ultimi raggi di sole risplendono sul tappeto verde del prato grande e su quello del prato più piccolo. Mi incammino verso quest’ultimo, che è sempre più silenzioso. Stasera non ci sono nemmeno i soliti vecchietti che chiacchierano sulle panchine. C’è invece qualcosa di scuro che si muove ai piedi della siepe di pittosporo.

Mi avvicino e mi chino. È un uccellino, sembra stordito. Lo prendo tra le mani a coppa e lo avvicino al mio viso. Ha la fronte nera, la nuca e le spalle azzurre, la faccia e il petto color ruggine. Neanche a farlo apposta: è un fringuello.

«Come sei carino.» Mi accerto che non ci sia nessuna persona a guardarmi, non vorrei che prendessero per matto anche me. «Cosa c’è? Non riesci a volare?»

L’uccellino mi osserva. Il suo sguardo non è per nulla terribile.

Lo accomodo su un solo palmo e con l’altra mano gli accarezzo le ali bianche e nere. Sembra tutto a posto. «Lo sai che ti dico?» Gli sorrido. «Secondo me è meglio avere un fringuello in mano che un tordo in frasca.»

Il piccolo pennuto si alza sulle zampe e si aggrappa al mio pollice come fosse un posatoio. Apre il becco e mi regala il suo canto melodioso, una serie di ciu-i-o gorgheggiati. Richiude il becco e vola via.

Che meraviglia, un’esperienza unica che mi riempie il cuore di gioia. Che strano però, ho avuto l’impressione che abbia strizzato un occhio prima di lasciare il mio dito. Ma no, non è possibile, gli uccelli non ammiccano. Che follia…

Un fruscio alle mie spalle blocca i miei pensieri.

Mi volto e tutto è come prima, non si muove una foglia.

Zip zip.

Un verso nuovo richiama la mia attenzione verso i rami flessuosi del falso pepe. Mi avvicino, e tra le foglioline pendule scorgo un volatile saltellante. Ha il dorso marrone, il ventre color crema e il petto tendente al fulvo giallo. Sia il ventre che il petto sono macchiettati di nero. È un tordo.

Ziip ziip.

Il verso si fa più aspro, lo sguardo è incattivito. Questa situazione non mi lascia per nulla tranquillo. Indietreggio piano e mi incammino in direzione del vialetto alberato. Ma il tordo vola da una ringhiera all’altra, da un lampione all’altro. I suoi occhi sono arrabbiati, il suo sguardo è terrificante.

Accelero il passo. Esco dal parco e imbocco la strada di casa. Un’ombra scura sorvola la mia testa. Corro tra la gente. Le gambe mi tremano, respiro a fatica, mi viene da vomitare. Che cavolo mi succede?

Ecco il portone. La chiave non vuole saperne di infilarsi nella toppa. Provo e riprovo finché la mano traballante non centra la fessura. Entro, salgo di corsa le scale e mi precipito nel mio appartamento. Richiudo la porta alle mie spalle. Inspiro e sbuffo. Ho le palpitazioni.

Tic tic tic.

Il tordo bussa col becco sul vetro della finestra del soggiorno e mi perfora con il suo mostruoso sguardo. Mi fiondo a chiudere le tapparelle. Abbasso anche quelle della camera da letto e della cucina per sicurezza. Mi accoccolo al buio, abbraccio le gambe. Se ne andrà. Mi lascerà in pace prima o poi. Magari mi prendo qualche giorno libero al lavoro. Ho bisogno di riposo. I matti possono aspettare.

Zip zip.

Il verso terrificante rimbomba nella stanza. È più forte adesso, molto più vicino. Oh no, non avrò lasciato di nuovo aperta la finestra del bagno?

Ziip ziip.

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Questo racconto è stato pubblicato sul blog letterario Storie a Catinelle.